Armonia Azzurra/ racconto

 

Mille frammenti volarono verso l’alto andando a rifrangersi nei raggi di un sole freddo, incastonato in un blu intenso e terso. Per una frazione di secondo immobili per poi cadere addosso e d’intorno a Francesco che, socchiudendo gli occhi, si sentì la pelle pungere da innumerevoli piccolissimi aghi di ghiaccio.

Con gesto sicuro portò la trazione del peso sulla corta piccozza che aveva appena, con sicuro fendente, conficcato in quell’impasto di ghiaccio, duro come roccia, bianco con venature grigie ed azzurro metallo, lavorato da innumerevoli sbalzi tra calore e freddo intenso del lungo inverno ormai prossimo a finire.

Guardò senza eccessivo interesse il termometro al polso: meno dodici. Neanche tanto freddo, quanto bastava per una progressione sicura nel caldo degli indumenti che gli assicuravano d’esser anche lontano dall’umido.

Facendo attenzione a che grossi pezzi di ghiaccio lanciati a velocità gravitazionale non colpissero come proiettili il suo compagno decine di metri più sotto, si issò concedendosi uno sguardo panoramico sul grande vuoto che lo avvolgeva ma non finiva mai di stupirlo e commuoverlo, da lungo tempo amici.

Dopo settimane di attesa affinché le condizioni fossero “sicure”, due tentativi andati a vuoto per l’improvviso maltempo, due giorni per arrivare in quota, avevano lasciato la base della parete circa 12 ore prima al suon di mezzanotte ed ora, dopo ininterrotta salita, erano in vista dell’uscita del lungo couloir: una “striscia” di non solo ghiaccio di 900 metri che si snodava sulla parete sud, dove di certezza c’è ne era una sola: una volta iniziata la scalata l’unico modo di “uscire” è verso l’alto. Nessuna possibilità di fuga laterale o rientro verso il basso.

Ma a ciò erano non solo preparati: era esattamente ciò che avevano cercato, sognato, approntato per lungo tempo.

A casa, in altre salite, in giorni e mesi di letture e discussioni sul come e quando.

Ora erano finalmente alla fine, o almeno, tenendo conto che la discesa non aveva nulla né di banale né di certo, erano vicinissimi  alla meta della salita.

 

Non si scambiavano una parola da ore, al massimo qualche “comando” di cordata, ma la fiducia era totale e non c’era nulla da dire sapendo che ciò che provavamo era cosa comune, da tanto tempo salivano in coppia.

 

Lui di montagna viveva, non aveva altro scopo e da anni peregrinava di valle in valle, montagna, paese, nazione a rincorrere sogni che realizzati lasciavano spazio ad altre nuove ed apparentemente improbabili mete.

Mario era suo compagno di cordata da circa sei anni e la sintonia era buona.

Con quei pensieri nella mente, gli occhi pieni di luce, il corpo sinuoso nei movimenti, staccò dal ghiaccio l’altra piccozza e con gesto “elegante” la conficcò di qualche palmo al di sopra dell’altra.

Osservò il movimento come al rallentatore, come se fosse all’esterno di sé, ammirandone la pacata grazia nella ferma e precisa forza impressa affinché con un sol colpo penetrasse quel tanto per sostenere il peso: nessuno spreco. Non era ammesso impiegare che l’energia sufficiente e necessaria per poter reggere ore e ore lo sforzo.

 

Certo l’impresa in sé lo prendeva e lo gratificava ma il vero motore di tanta passione si poteva concentrare in un’unica parola: armonia.

Sentiva l’armonia nell’immensa presenza che la natura ti presenta laddove è integra e maestosa, dove l’uomo è quasi assente con i suoi manufatti e manipolazioni.

Ne senti il respiro nel vento, nelle fratture delle rocce, nei fruscianti boschi o aride morene, nella morsa del freddo e nel silenzio rotto da improbabili piccole o grandi frane e smottamenti fino al fischio lacerante di un sasso che a velocità folle ti sfiora incurante del disastroso impatto a cui certamente va incontro.

 

Ma ancor più lo affascinava l’armonia che riusciva ad esprimere tramite il gesto.

Si sentiva un danzatore verticale, dove in ogni movimento di progressione ne aveva ricercato, visto, ascoltato l’armonia e la sintonia affinché ogni muscolo si contraesse o rilasciasse con il minimo apparente sforzo, nessun strappo, disegnava fantomatici geroglifici nell’aria sfruttando ogni più piccolo equilibrio, ogni punto di rinvio, avvolgendo ora roccia ora ghiaccio di volute sensuali in gesti audaci.

 

Non c’era alto o basso, sopra o sotto, la spinta di gravità era la sua leggera rincorsa verso il suo contrario. Non c’era sfida. Non c’era paura. Solo il gesto e la sua armonia.

Così facendo ruotò a mezzo cerchio il braccio come nuotatore del cielo….

 

<> 

 

…….il movimento circolare del braccio si immerse con un argentino scroscio nell’acqua color latte. Spruzzi e goccioline sembravano si rincorressero a chi per prima si sarebbe ricongiunta nell’oceano sottostante. Lanciate in aria da poderose e ritmiche  bracciate si stagliavano per attimi di pochi secondi contro un cielo il cui azzurro lattiginoso prendeva lentamente il posto al blu della notte, l’alba nasceva, momento preferito da Laury per concedersi lunghe nuotate zigzagando ora all’interno della naturale insenatura ora al di fuori in mare aperto.

Poi si sarebbe ricomposto per allungarsi nella solita quotidiana routine lavorativa.

 

Ma quell’ora tra notte morente e fiorire dell’alba era il suo paradiso.

Incurante della “freschezza” dell’acqua si immergeva non solo fisicamente ma con il cuore, seguendo l’ondulatorio ondeggio dell’acqua a cui seguivano altrettanto ondeggianti pensieri ed emozioni.

Era un esperto nuotatore sopra e sotto l’acqua.

Aveva nuotato in tanti mari, caldi e freddi, ogniqualvolta poteva distaccarsi dal suo lavoro per prendersi il tempo necessario per una esplorazione che non si accontentava mai solo dell’elemento acqueo ed il mondo a lui connesso.

Infatti era per lui il modo di provare e conoscere se stesso, le sue sensazioni ed emozioni, che cambiavano e si modellavano a secondo del luogo, gente, esperienza che andava vivendo ed in cui sembrava che l’elemento acqua facesse da amplificatore. Gli metteva in luce ed in comprensione cose altrimenti obliate o non semplicemente considerate e di cui non riusciva ad accorgersi dell’esistenza e valore.

E poi gli sembrava che immerso nell’acqua acquisisse una innata capacità di muoversi che non sentiva nel normale stato comune di ogni umano e cioè sul terreno.

Sentiva la stessa differenza che si può riscontrare nei movimenti di una foca dentro e fuori dall’acqua: nell’uno danzatrice, nell’altro lenta e goffa.

Lì, immerso nell’oceano ora verde, ora blu, ora azzurro, si sentiva finalmente con tutto ciò che è in armonia…… e il braccio fece un altro mezzo cerchio con la stessa ferma delicatezza di un suonatore sulle corde del suo strumento….

 

<> 

 

…e con gesto preciso Sonny fece sgorgare un suono puro, cristallino come mai le era nato in quel concerto per violino ed orchestra. Era in perfetta armonia con il testo e con gli orchestranti ed il loro direttore che estasiato, quasi assente ma in totale presenza nel suono, si immergeva nelle sue armoniche, nei suoi movimenti, sul palco della grande Sala Azzurra del teatro.

 

Una vita per la musica ma anche la musica di una vita.

Le  tornavano alla mente le interminabili ore di prove, di studio, di assidua e totale dedizione. Ma anche i viaggi, la gente, gli amori trovati e persi nel vagabondare da una sala da concerto ad un palco o studio o chiesa e via per il mondo.

E gli anni passano.

 

Ma la musica è così o tu le dai tutto te stesso o altrimenti essa ti nasconderà la  sua vera essenza: l’armonia.

Armonia con te stesso, con il tuo vicino, con quello lontano. Armonia con la vita, con l’universo, con Dio…

Armonia ti avvolge, ti riflette, non lascia spazio ad altra cosa che non se stessa.

È come la luce: dove c’è non può esistere il buio.

 

Non è certo che la troverai perchè lei è astuta: si fa intravedere, ti stuzzica con brevi innocenti assaggi e poi si nasconde.

Ma ormai toccato da quei pochi attimi ti metti in cerca di quell’assoluto che solo in un caso si rivela.

Solo quando accetti e ti lasci andare che sia lei ad essere l’assoluto di te.

 

Quando tutto è in perfetta simbiosi, quando tutto è alla massima perfezione di sé nel momento presente ecco che nasce, si mostra, si svela e devi essere pronto con l’animo a coglierla, a fargli spazio dentro di te o chissà quando accadrà la prossima volta.

 

E quell’archetto scivola su quelle corde in un dialogo che va dal rumore, dal conflitto a modesti timidi suoni fino al fiume di note che creano un immenso mare azzurro sonoro di cui il gesto, come somma di mezzi cerchi è il ponte tra creazione, sentimento e condivisione.

E il braccio leggero va di moto suo roteando…

 

<> 

 

… roteando per eoni ed eoni, somma di infinite singole note che nel rincorrersi, incontrarsi, scontrarsi, legandosi l’una all’altra, gioiose solo di esistere per se stesse crearono un immenso fantastico insieme che ora in molti da molte parti  e tempi diversi chiamano Universo… Armonico.

Armonia Azzurra/ raccontoultima modifica: 2013-03-05T17:25:00+01:00da gio08gio
Reposta per primo quest’articolo